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Dragonero - La maledizione di Thule (Romanzo 1)
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Prima edizione
7 Ottobre 2014
Editore
Mondadori
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Dragonero - La maledizione di Thule è un romanzo fantasy, primo della serie di romanzi ambientati nel mondo di Dragonero. È stato scritto da Stefano Vietti, autore anche della serie a fumetti originale, mentre la copertina è di Andrea Tentori Montalto. La prima edizione è stata pubblicata il 7 ottobre 2014 dalla casa editrice Mondadori[1].

Alla prima edizione del volume è stata allegata una fascetta e un segnalibro che promuovono la serie a fumetti di Dragonero.

Trama[]

Il Luresindo Alben viene contattato dallo sciamano della città di Thule, che lo esorta a raggiungerlo rapidamente a causa di un evento grave per cui è necessario il suo aiuto. Giunto a Thule, Alben scopre che in una montagna vicina la prigione magica di un Reietto, Caen, sta per rompersi. I Reietti erano creature potentissime create secoli prima dai Cenobiti Jikima, alchimisti dediti allo studio della magia degli Abominii, allo scopo di usarli come mercenari e assassini. Per soggiogarli alla loro volontà, i Cenobiti Jikima avevano reso i Reietti dipendenti dai Fluidi, che solo loro sapevano sintetizzare. Se i Reietti non assumevano i Fluidi, perdevano i poteri e deperivano. Quando un gruppo di Reietti andò fuori controllo, l'Impero erondariano decise che i Cenobiti Jikima dovevano essere sciolti e tutti i Reietti uccisi. Così avvenne, ma alcuni Reietti sopravvissero al massacro. Alben sapeva che i Reietti sopravvissuti erano Caen, che i Cenobiti avevano affidato alla famiglia Seril, governante di Thule, affinchè venisse imprigionato molto prima del massacro in quanto spaventati dalla sua eccessiva potenza, e Loenia, che la famiglia Malagan aveva catturato e imprigionato, senza ucciderla, temendo una possibile vendetta dei Cenobiti Jikima nel caso si fossero riformati. Alben comprende che non c'era modo di impedire la rottura della prigione di Caen e che se ciò fosse avvenuto il Reietto avrebbe scatenato contro il mondo tutta la sua potenza distruttiva. L'unico modo per fermarlo era ucciderlo e per tale obiettivo sarebbe stato necessario l'aiuto di Loenia. Infatti, non era possibile richiedere l'intervento dell'Impero perché in tal caso tutti gli abitanti di Thule sarebbero stati giustiziati, rei di aver mantenuto in vita un Reietto in segreto.

Loenia

Loenia secondo Giuseppe Matteoni.

A questo punto Alben organizza una spedizione con Ian Aranill, Gmor e Sera, per raggiungere la fortezza dove viveva la famiglia Malagan e chiedere di poter parlare con Loenia così da ottenere il suo aiuto contro Caen. Giunti nella fortezza, il gruppo scopre che Loenia, sostenuta a distanza da Caen con la telepatia, è riuscita a liberarsi, ha ucciso tutti e poi è fuggita. Usando i suoi poteri di preveggenza, Alben capisce che Loenia è diretta a Lashure, dove spera di trovare una piccola quantità di Fluidi posseduta da una famiglia signorile un tempo legata ai Cenobiti Jikima. In seguito alle domande di Ian, Alben finalmente rivela che aveva intenzione di convincere Loenia ad aiutarli grazie alla Pietra Mnolter, un oggetto magico che i Cenobiti Jikima usavano per togliere la memoria agli individui, prima di trasformarli in Reietti. Loenia li avrebbe sicuramente aiutati se, in cambio, avesse riottenuto i suoi ricordi. Tuttavia, la Pietra Mnolter era nascosta a Ras Jeben, il monastero abbandonato un tempo sede dei Cenobiti, e andava recuperata.

Al gruppo non resta che dividersi. Ian e Gmor vanno a Lashure mentre Alben e Sera si dirigono a Ras Jeben. A Lashure, Ian e Gmor trovano Loenia e la salvano da Leto Jayss, un altro Reietto superstite. Ian uccide Leto Jayss e insieme a Loenia e Gmor fugge su un nuvolante, dopo aver recuperato anche una grande quantità di Fluidi che Leto Jayss teneva nella sua dimora. Intanto a Ras Jeben, Alben e Sera recuperano la Pietra Mnolter, ma devono affrontare degli Abominii. Escono vittoriosi dallo scontro, ma Alben rimane ferito. Riunitisi tutti a Viturmanse, l'eremo in cui Alben vive, il Luresindo si ammala e rischia di morire a causa della ferita arrecatagli dagli Abominii, responsabile di una corruzione che nessun incantesimo o medicamento riesce a fermare. Solo l'intervento di Loenia salva la vita ad Alben, infatti la Reietta è in grado di usare i Fluidi per guarire le ferite inferte dagli Abominii. Comunque, Loenia non ha alcuna intenzione di aiutarli a uccidere Caen. Allora Alben la espone alla Pietra Mnolter, ridandole i ricordi che tanto desiderava. In seguito a ciò, Loenia rimane scossa, riaquisisce la sua umanità e cambia propositi, decidendosi finalmente ad aiutarli a uccidere Caen.

Morti Thule

Partono tutti per Thule, per lo scontro finale, e scoprono che la città è allo stremo, assediata dai Feticci di tenebra, creati da Caen, e quasi completamente distrutta. Alben, Sera e Gmor rimangono nella città mentre Ian e Loenia raggiungono la montagna dove è nascosto Caen, per affrontarlo e ucciderlo. Scoprono allora che è una trappola. Caen non era affatto sul punto di liberarsi, la sua prigione era salda, semplicemente si era svegliato e usando i suoi poteri telepatici aveva manipolato la mente di Alben, convicendolo a organizzare la missione, e quella di Loenia, portandola a cercare i Fluidi. Il suo obiettivo fin dall'inizio era quello di fare in modo che qualcuno portasse nella sua prigione una certa quantità di Fluidi, così da poterli assumere e acquisire la forza necessaria a liberarsi. Infatti, Loenia aveva con sè molti Fluidi, convinta che gli sarebbero serviti nello scontro contro Caen, invece Caen invia dei Feticci di tenebra per rubarglieli. Così accade, dei Feticci rubano i Fluidi a Loenia e li cedono a Caen, che li assume e si libera dalla prigione, pronto a uccidere la Reietta e Ian. Nulla possono i due compagni contro i poteri telepatici di Caen, che sta per ucciderli. A questo punto, si manifesta il potere del Cattura-Drago di Ian e il tempo si ferma. Ian potrebbe uccidere Caen ma, mosso da pietà, non ci riesce a causa dell'aspetto da ragazzino del Reietto, trasformato quando era ancora un bambino. Interviene Loenia, che abbraccia Caen e si getta con lui nel vuoto, evocando nel contempo delle fiamme che avvolgono e uccidono entrambi. Con la sconfitta di Caen, i Feticci di tenebra si disperdono e Thule è salva[2].

Personaggi[]

Luoghi[]

  • Solian
    • Costa presso Solian
  • Thule
    • Prigione di Caen nei pressi di Thule
  • Fortezza della famiglia Malagan
  • Villaggio lungo la strada verso Lashure
  • Vhâcondàr
  • Ras Jeben
  • Viturmanse

Curiosità[]

  • Qui di seguito potete leggere un brano tagliato nella fase di editing del romanzo Dragonero - La maledizione di Thule, che quindi non compare nel libro. Va collocato subito dopo il capitolo: il villaggio dei dannati[3]:

Occorreva procedere in linea retta verso Sud e l’unica via percorribile era quella fluviale. Presero dunque l’imbarco presso uno dei tanti moli privati che si affacciavano su un fiume senza nome, a bordo di una una chiatta male in arnese, di proprietà di un barcaiolo ubriacone. Visto che Ian e Gmor erano gli unici due passeggeri fu chiesta loro una somma spropositata che per metà pagarono cedendo i due cavalli, ormai inutili per dove erano diretti, e per l’altra metà in monete d’argento imperiali.

Gemendo e scricchiolando, la chiatta prese il largo sul fiume a notte fonda e si immerse nella giungla. 

Come il barcaiolo riuscisse a governare la chiatta muovendo, tra una sorsata di acquavite e l’altra, il pesante remo centrale di poppa restò un mistero per Ian che lo tenne d’occhio per un po’ e poi, su consiglio di Gmor, lasciò perdere per provare a prendere sonno. Sul principio non ci riuscì. La giungla, dentro la quale il fiume correva, emetteva suoni, grida, grugniti e sibili acuti a cui lui non era abituato. Pensò che andava bene così. Dopotutto lui non voleva davvero dormire. Ma poi, cullato dallo scorrere del fiume, infine, vinto da una stanchezza come mai ne aveva provate, si addormentò. E nessun incubo disturbò il suo sonno.

All’alba la chiatta attraccò al molo di arrivo sbattendovi contro con tale violenza che sembrò sul punto di spaccarsi in due. Ian e Gmor erano già svegli e scesero al volo, mandando con il penseiro al diavolo il barcaiolo. L’approdo si apriva dal molo in uno di quei tipici e caotici borghi di transito di merci, mercanti e comuni viaggiatori dalle terre del Margine, che comprendevano il Margondar e il Suprendar, e il deserto. Ai due amici non restava altro che mettersi alla ricerca del modo più adatto per raggiungere Lasuhre. Si trattava di spingersi nel Vhacondar, il “Paese Vuoto”, com’era conosciuto nella lingua comune il grande deserto, per circa duecento leghe e non era uno scherzo. Ian e Gmor ci rifletterono a colazione, seduti al tavolo esterno di una locanda, sotto la frescura di un pergolato di Kiwi.

Esistevano tre metodi per viaggiare con una certa sicurezza. Il primo consisteva nell’unirisi a qualche carovana. Il metodo meno costoso, ma il più lento e comunque occorreva trovare una carovana che fosse diretta proprio a Lasuhre. Il secondo metodo era quello di affittare un paio di cavalcature Rhoyiik, i grossi uccelli carnivori addestrati dalle tribù dei cacciatori Senlinderhen per muoversi nel deserto. Era di certo il mezzo di viaggio più rapido, ma serviva conoscere molto bene il tragitto. Il terzo metodo era l’imbarco in una delle “navi delle sabbie”; enormi aerostati, simili ai nuvolanti usati dalle Guardie Rosse del Grande Vallo per pattugliare le terre dei Draghi, che viaggiavano però a una altezza massima di venti piedi dal suolo.

La nave che i due amici scelsero si chiamava El-Aji, che nella lingua locale significava: la Rapida. Il nome le si addiceva proprio. Si trattava di un vascello snello e ben costruito, manovrato da sei uomini capaci e comandato da una donna energica, di poche parole e di ordini secchi e precisi. Salpò con a bordo una trentina di passeggeri e un carico di frutta e verdura nel tardo pomeriggio dello stesso giorno diretta all’oasi di Elijas prima e a Lasuhre poi. La nave avrebbe viaggiato spedita sia durante la notte, affidandosi alle luci guida dei grandi fari di pietra del deserto, sia durante il giorno. Senza mai fermarsi.

Ian e Gmor, che su consiglio dell’amico non levò mai il mantello, ne abbassò mai il cappuccio, per non mostrare di essere un Orco e dunque evitare eventuali problemi, si accomodarono su un sedile a babordo, nella parte di prua.

Non c’era molto da fare se non restare seduti al proprio posto e combattere la noia guardando scorrere il deserto sotto la chiglia che sollevava una scia di polvere al suo veloce passaggio. I locali chiamavano quel deserto Er’el Atant’ar, il “martello del Sole” e mai nome parve a Ian più azzeccato. Durante il giorno il caldo era insopportabile, specie per Gmor, intabarrato com’era e tuttavia, durante la notte, l’escursione termica portava brividi gelidi fin dentro le ossa. 

La nave si rivelò davvero il modo migliore e più veloce per viaggiare, ma i passeggeri a bordo facevano una gran confusione. Mangiavano, bevevano e chiacchieravano tra loro di continuo in un nervosismo crescente per via degli spazi stretti in cui erano costretti a stare. Non vi erano cabine private. Le stive erano per il carico e dunque la vita di bordo si svolgeva solo sul ponte, salvo fatto per le latrine comuni alle quali si accedeva tramite una scala nella parte di poppa. Ian e Gmor vennero lasciati in pace. Ogni tanto si sentivano gli occhi di qualcuno addosso, ma le dimensioni di Gmor, sotto il mantello, tennero alla larga tutti. Il capitano si faceva gli affari suoi, abituata a trasportare chiunque, purchè avesse saldato il conto alla partenza e non si rivolse mai ai passeggeri, se non per redarguire qualcuno dal non sporgersi troppo dalla nave o come in quel momento, nel pomeriggio dell’ultimo giorno di viaggio, per avvisare che Lasuhre era in vista. 

Alle grida del capitano, tutti i passeggeri si alzarono e si portarono a prua per guardare meglio. Ian e Gmor compresi. 

Lasuhre si stagliava tremolante come uno spettro dentro il riverbero del sole. Ian se l’era immaginata più piccola. Chissà perché. Invece la città era davvero estesa. Protetta da alte mura di pietra bianca e da decine di torri circolari svettanti incontro al cielo che era di un azzurro lucente. 

Bene. Erano arrivati. 

E fu in quel momento che i due amici cominciarono di nuovo a pensare al motivo per il quale si trovassero lì, su quella nave delle sabbie, pronta ad approdare alla Città Rossa.

Edizioni[]

  • Stefano Vietti, Dragonero - La maledizione di Thule, Chrysalide, Arnoldo Mondadori Editore, 2014, p. 277, ISBN 88-04-64255-6.
  • Stefano Vietti, Dragonero - La maledizione di Thule, Oscar Best Sellers, Arnoldo Mondadori Editore, 2015, p. 280, ISBN 9788804657095.
  • Stefano Vietti, Dragonero - La maledizione di Thule, Oscar Fantastica, Arnoldo Mondadori Editore, 2016, ISBN 9788804669678.

Note[]

  1. LibriMondadori: Dragonero - La maledizione di Thule
  2. Stefano Vietti, Dragonero - La maledizione di Thule (2014), Mondadori.
  3. Post di Stefano Vietti

Romanzi Mondadori di Dragonero

1. Dragonero - La maledizione di Thule - 2. Dragonero - Il risveglio del Potente

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